LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza   sul   ricorso   proposto
 dall'Impresa  generale  affissioni  pubblicita'  S.p.a.  -  IGAP,  in
 persona del  Presidente  pro-tempore,  elettivamente  domiciliata  in
 Roma,  via  Tacito  n.  7,  presso  l'avv.  Stefano  Varvesi  che  la
 rappresenta e difende giusta  procura  speciale  per  notaio  Alberto
 Roncoroni  di  Milano  rep.  100517 del 12 novembre 1993, ricorrente,
 contro il comune di Napoli, intimato; e sul secondo  ricorso  25/1994
 proposto  dal  comune  di Napoli, in persona del sindaco pro-tempore,
 elettivamente domiciliato in Roma, via G.D. Romagnosi n. 1/B,  presso
 l'avv.  Ugo  Iaccarino che lo rappresenta e difende giusta mandato in
 calce al ricorso originale, controricorrente e ricorrente incidentale
 contro la S.p.a. Impresa  generale  affissioni  pubblicita'  -  IGAP,
 intimata;  avverso la decisione della Commissione arbitrale di cui al
 r.d.-l. 25 gennaio 1931 n. 36 istituita presso Intendenza di  Finanza
 Napoli;
    Udita  la  relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
 30 marzo 1995 dal Cons. rel. dott. Luccioli;
    Udito per il ricorrente l'avv. Varvesi che  chiede  la  rimessione
 alla Corte costituzionale;
    Udito  per  il  resistente e ricorrente incidentale l'avv. Ridolfi
 con delega che chiede la rimessione alla Corte costituzionale;
    Udito il p.m. in persona del sost. proc. gen. dott. Buonajuto  che
 ha concluso per la rimessione della causa alla Corte costituzionale.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Con  atto  notificato  il  1  dicembre  1992  il  comune di Napoli
 promuoveva il procedimento arbitrale ai  sensi  dell'art.  4-bis  del
 d.-l.  13 settembre 1991 n. 299, convertito in legge 18 novembre 1991
 n. 363,  nei  confronti  della  S.p.a.  Impresa  generale  affissioni
 pubblicita'  - IGAP, esponendo che con convenzione del 28 agosto 1987
 era stata rinnovata a detta societa', con decorrenza  dal  1  ottobre
 1987  e  per  la  durata di nove anni, la concessione del servizio di
 accertamento e  riscossione  dell'imposta  sulla  pubblicita'  e  dei
 diritti  sulle  pubbliche  affissioni,  con l'aggio sulle riscossioni
 pari al 39,45% e dal 1 gennaio 1988 pari al 43,29  e  con  il  minimo
 garantito  di  L. 2.100.000.000; che in applicazione dell'art. 18 del
 d.-l. 31 agosto 1987 n. 359, convertito nella legge 29  ottobre  1987
 n.  440,  la  commissione  arbitrale  costituita ai sensi del r.d. 25
 gennaio 1931 n. 36, cui si era fatto ricorso per il  mancato  accordo
 tra  le  parti, con decisione dell'11 novembre 1991 aveva revisionato
 la misura dell'aggio al 35,09% a decorrere dal  1  gennaio  1988,  al
 34,34%  per  il  1989  ed  al  36,50% per il 1990 ed aveva fissato il
 minimo garantito in L.   4.500.000.000; che  avverso  tale  pronuncia
 arbitrale  era  stata  proposta  impugnazione  sia  dinanzi  a questa
 Suprema Corte che alla  Corte  di  Appello;  che  successivamente  il
 medesio  comune  di  Napoli, poiche' ai sensi dell'art. 4-bis innanzi
 richiamato erano state aumentate del 30%, con effetto dal  1  gennaio
 1992,  le  tariffe  in  tema  di imposta comunale sulla pubblicita' e
 diritti  sulle  pubbliche  affissioni,  con  conseguente  obbligo  di
 revisione  della  misura  dell'aggio  e  del  minimo garantito, aveva
 comunicato alla S.p.a. IGAP  l'intendimento  di  rivedere  i  termini
 contrattuali  della  concessione,  proponendo la misura dell'aggio, a
 decorrere da  detta  data,  del  22,50%  e  l'elevazione  del  minimo
 garantito a L. 6.000.000.000.
    Tutto  cio'  premesso,  e  ritenuto  che  la S.p.a. IGAP non aveva
 aderito a  tale  proposta,  chiedeva  che  la  commissione  arbitrale
 effettuasse la revisione prevista dalla legge.
    Nel corso del procedimento la S.p.a. IGAP chiedeva agli arbitri di
 sospendere  il  giudizio ai sensi degli artt. 295 e 819 c.p.c. per la
 pregiudizialita' della decisione delle  impugnazioni  del  precedente
 lodo  in  data  11 novembre 1991. Con ordinanza del 16 aprile 1993 la
 commissione  arbitrale  respingeva  la  richiesta   di   sospensione,
 osservando  che  gli  elementi  posti  dall'art.  4-bis  a base della
 revisione erano autonomamente  accertabili,  indipendentemente  dalla
 misura dell'aggio determinato dal primo lodo.
    Con  lodo  depositato  il  19  luglio  1993  il collegio arbitrale
 determinava, a decorrere dal 1 gennaio 1992, l'aggio nella misura del
 30,95% ed il minimo garantito nell'importo di L. 4.900.000.000.
    Avverso  tale  pronuncia  la  S.p.a.  IGAP ha proposto ricorso per
 cassazione sulla base di quattro motivi.
    Ha resistito con controricorso il comune di Napoli,  proponendo  a
 sua volta ricorso incidentale fondato su tre motivi.
    Entrambe le parti hanno depositato memorie.
                              M O T I V I
    Va  innanzi tutto disposta la riunione del ricorso principale e di
 quello incidentale, in quanto concernenti la medesima  pronuncia,  ai
 sensi dell'art. 335 c.p.c.
    L'eccezione di inammissibilita' del ricorso proposta dal comune di
 Napoli  deve  essere  disattesa,  essendo  stato  il  ricorso  stesso
 proposto ai sensi dell'art. 1, comma 2, del r.d.-l. 25  gennaio  1931
 n.  36, convertito nella legge 9 aprile 1931 n. 460, il quale prevede
 che le decisioni della commissione arbitrale disciplinata  nel  primo
 comma  -  competente  in forza del richiamo contenuto nell'art. 4-bis
 del d.-l. 13 settembre 1991 n. 299, convertito in legge  18  novembre
 1991,  n.  363,  alla  revisione  della misura dell'aggio, del minimo
 garantito e del canone fisso convenute nei contratti  di  concessione
 del   servizio  per  l'accertamento  e  la  riscossione  dell'imposta
 comunale sulla pubblicita' e dei diritti sulle pubbliche affissioni -
 non siano soggette ad appello o  ad  azione  di  nullita',  ma  siano
 soltanto ricorribili per cassazione.
    In  sede  di  memoria  illustrativa la S.p.a. IGAP ha sollevato la
 questione di legittimita' costituzionale del primo comma  del  citato
 art.  4-bis,  nella  parte  in  cui demanda la revisione delle misure
 dell'aggio, del minimo garantito e del canone fisso alla  commissione
 arbitrale  di cui al r.d-l. n. 36 del 1931, convertito nella legge n.
 460 del 1931, per contrasto con gli artt. 24 e 102 Cost.
    La questione e' rilevante per la decisione del presente  giudizio,
 poiche'  ha per oggetto la disposizione che costituisce il fondamento
 mormativo della potestas iudicandi di cui il provvedimento  impugnato
 in  questa  sede  e'  espressione,  cosi' che l'eventuale caducazione
 della norma sospettata di incostituzionalita' farebbe venir  meno  la
 decisione   avverso  la  quale  e'  stato  proposto  il  ricorso  per
 cassazione.
    La questione stessa appare non manifestamente infondata.
    Come e' noto, la norma in esame  riproduce  testualmente,  per  la
 parte  che  qui  interessa, l'art. 18, quinto comma, del d.-l. n. 359
 del 1987, convertito nella legge n. 440 del 1987, il quale  disponeva
 che  in  caso  di  mancato  accordo  tra  le parti la revisione fosse
 demandata alla commissione arbitrale di cui  al  r.d.-l.  n.  36  del
 1931.
    Analogamente,  l'art.  14,  comma  3,  del  d.-l. n. 318 del 1986,
 convertito nella legge n. 488 del 1986, attraverso il rinvio all'art.
 25 comma 2 del d.-l. n. 55 del 1983, convertito nella  legge  n.  131
 del  1983,  demandava  alla  commissione  arbitrale  in  discorso  la
 revisione in relazione ai contratti in corso al 1 gennaio 1986.
    E prima ancora l'art. 26, settimo comma,  del  d.-l.  n.  153  del
 1980,  convertito nella legge n. 299 del 1980, affidava alla medesima
 commissione arbitrale  la  revisione  delle  misure  dell'aggio,  del
 minimo garantito e del canone fisso convenuta ni contratti in corso.
    E'  altrettanto  noto  che  con  sentenza n. 232 del 1994 la Corte
 costituzionale   ha   dichiarato   l'illegittimita'    costituzionale
 dell'art.  18,  quinto  comma,  del d.-l. n. 359 del 1987, convertito
 nella legge n.  440  del  1987,  nella  parte  in  cui  demandava  la
 revisione alla commissione arbitrale prevista dall'art. 1 del r.d.-l.
 n.  36  del 1931, convertito in legge n. 460 del 1931, ritenendolo in
 contrasto  con  l'art.  102,  primo  comma,   Cost.,   con   connesso
 pregiudizio  del  diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.; che con
 sentenza  n.  206  del  1994  la   medesima   Corte   ha   dichiarato
 l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 14, terzo comma, del d.-l.
 n. 318 del 1986, convertito nella legge n. 488 del 1986, nella  parte
 in cui, attraverso il rinvio all'art. 25, secondo comma, del d.-l. n.
 55  del 1983, convertito nella legge n. 131 del 1983, demandava detta
 revisione   alla   commissione   arbitrale    suindicata,    nonche',
 conseguentemente, l'illegittimita' costituzionale del richiamato art.
 25,  secondo comma, del d.-l. n. 55 del 1983; che ancora con sentenza
 n. 49 del 1994 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 26 comma  7  del  d.-l.  n.  153  del  1980,
 convertito nella legge n. 299 del 1980.
    La sanzione di incostituzionalita' delle citate disposizioni sulla
 base   del   rilievo   che  esse  affidano  un  determinato  tipo  di
 controversie ad una  commissione  arbitrale  stabilita  dalla  legge,
 prescindendo  da  ogni eventuale avviso difforme di una o di entrambe
 le parti interessate, costituisce riaffermazione del principio,  piu'
 volte  emunciato dalla Corte costituzionale (sentenze n. 35 del 1958,
 n. 2 del 1963, n. 127 del 1977, n. 488 del 1991)  che  il  fondamento
 dell'arbitrato,  sulla  base  del  combinato disposto degli artt. 24,
 primo comma, Cost.  (diritto  di  agire  in  giudizio  e  correlativo
 esercizio)   e   102   primo  comma  Cost.  (riserva  della  funzione
 giurisdizionale ai giudici  ordinari)  risiede  nella  libera  scelta
 delle  parti,  perche'  soltanto  la  scelta  dei  soggetti coinvolti
 (intesa come uno dei possibili  modi  di  disporre,  anche  in  senso
 negativo,  del  diritto  di cui all'art. 24, primo comma, Cost.) puo'
 derogare al precetto contenuto nell'art. 102, primo comma, Cost.
    Il  principio  affermato  nei  ripetuti  interventi  della   Corte
 costituzionale  trova  peraltro  riscontro  nella  giurisprudenza  di
 questa Suprema Corte, secondo la quale devono ritenersi non  conformi
 al  dettato costituzionale gli arbitrati resi obbligatori o necessari
 dalla legge, e non anche quelli obbligatori per volonta' delle parti,
 cosi' che ove  si  configuri  un  arbitrato  obbligatorio  per  legge
 occorre   rimettere   la  questione,  in  quanto  non  manifestamente
 infondata, alla Corte costituzionale (v. S.U. 1992, n. 1458; 1981  n.
 1112).
    Le  suesposte  ragioni  inducono  a  dubitare  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 4-bis del d.-l. n. 299 del 1991,  convertito
 nella  legge  n.  363  del 1991, atteso che attraverso l'attribuzione
 della revisione alla commissione arbitrale di cui al  r.d.-l.  n.  36
 del  1931,  convertito nella legge n. 460 del 1931, tale disposizione
 impone  direttamente  una  deroga  al  fondamentale  principio  della
 statualita'  della giurisdizione, negando ancora una volta alle parti
 la  facolta'  di  esprimere  la  propria  autonomia  in  ordine  alla
 soluzione di quel tipo di controversie.
    Deve   pertanto   sollevarsi   la   questione   di  illegittimita'
 costituzionale della norma in esame per contrasto con gli  artt.  24,
 primo comma, e 102, primo comma, Cost.